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ALLA MEMORIA

di Virginia

Le persone dimenticano. Non lo fanno solo gli italiani, ma i cittadini di tutto il mondo, anche se c’è da ammettere che noi siamo particolarmente bravi. È per questo motivo che ho deciso di scrivere questo articolo in un momento di simile scompiglio politico: per ricordare e portare a galla ciò che era andato a fondo.

Portare a galla 368 persone, per la precisione. Mi riferisco alle vittime del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. Le parole dello scrittore e giornalista Alessandro Leogrande me lo hanno fatto conoscere. Dalle pagine de “La Frontiera”:

Il carburante non va a fuoco, ma si rovescia in mare. Crea un lago d’olio, mescolandosi all’acqua. […] Scoppia il finimondo. […] Divampa una lotta durissima per la sopravvivenza, una lotta resa ancora più infernale dal gasolio. Chi non è ancora affogato si graffia e si ferisce cercando di non andare a fondo. […] I più stanchi si lasciano risucchiare dal Mediterraneo. […]

Le donne e i bambini che riempiono la stiva muoiono per primi. Li ritroveranno abbracciati, con le mani delle donne messe a coppa sulla bocca dei bambini per cercare di farli respirare qualche secondo in più, per impedire all’acqua di entrare nei polmoni. […]

Una ragazzina racconta di aver nuotato con un amico, si facevano coraggio a vicenda. Poi a un certo punto non l’ha più sentito.

A seguito delle prime operazioni di recupero, quando il numero dei corpi recuperati era di 302, 210 di essi appartenevano a uomini, 83 a donne e 9 a bambini. Quasi tutte le persone a bordo dell’imbarcazione provenivano dall’Eritrea, governata dalla dittatura di Isaias Afewerki che, dopo la fine della guerra con l’Etiopia (2000), ha istituito il servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato per tutta la popolazione compresa tra i 18 e i 40 anni: questo e la limitatissima libertà di stampa (il Press Freedom Index 2013, pubblicato da Reporters sans frontières, classifica l’Eritrea all’ultimo posto, preceduta dalla Corea del Nord) sono tra i principali motivi che hanno spinto intere generazioni ad abbandonare il paese.

La strage ha scosso l’Europa intera, l’Italia prima di tutti gli altri paesi. Vi è stata una torsione netta nella gestione della frontiera. L’Italia che solo quattro anni prima mandava davanti alla Libia le navi a intercettare i barconi per rispedirli indietro ha dato origine alla Mare Nostrum: un’operazione militare e umanitaria voluta dal governo italiano e iniziata ufficialmente il 18 ottobre 2013 con due obiettivi: «garantire la salvaguardia della vita in mare» e «assicurare alla giustizia coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti». Mare Nostrum nei 12 mesi successivi ha salvato la vita a 156.362 migranti in poco più di un anno, ossia 413 persone al giorno, grazie alle navi della Marina militare autorizzate a intervenire sia a ridosso delle coste libiche sia più ad est per intercettare i barconi carichi di siriani provenienti da Tunisia ed Egitto, coprendo un fronte acquatico di 22 mila miglia quadrate (57 mila km quadrati). Sempre con Mare Nostrum sono stati arrestati oltre 500 scafisti e sequestrate 3 “navi madre”, cioè quelle che trasportano i migranti a una certa distanza dalle coste per poi abbandonarli.

Poi, dopo solo un anno, l’obiettivo di evitare che accada nuovamente una tragedia come quella di Lampedusa finisce per scendere di svariati punti nella scaletta dell’agenda europea. Lo dimostra il rifiuto da parte degli altri stati membri dell’UE di fornire il supporto economico richiesto dal governo italiano per la gestione della massiccia operazione Mare Nostrum, e quindi la nascita di Triton il 1 novembre 2014.

La nuova operazione Triton, questa volta farina del sacco europeo e non solo italiano, sostituisce le missioni attive nel Mediterraneo: sia quella nazionale di Mare Nostrum sia le altre di Frontex (agenzia per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea). A Triton partecipano 29 paesi, ed è finanziata dall’Unione europea con 2,9 milioni di euro al mese: circa due terzi in meno di quanti erano destinati a Mare Nostrum. Con Triton le modalità di soccorso sono radicalmente cambiate. L’operazione si limita a controllare le coste e a pattugliare le acque territoriali, con limitazioni sullo screening sanitario che in precedenza si svolgeva sulle navi. L’area controllata si riduce del 70%: rimangono solo le acque territoriali collocate all’interno delle 30 miglia, ossia 48 km (i chilometri in linea d’aria tra Lampedusa e Tripoli sono 296), che circondano le coste di Puglia, Calabria e Sicilia: il mandato della missione è infatti quello di controllare le Frontiere, non di soccorrere.

L’oblio ha continuato a erodere la nostra memoria come un cancro. Bastano meno di cinque anni e ciò che è accaduto il 3 ottobre 2013 ha già perso gran parte della sua forza mediatica. È un fatto che non fa più leva sulle menti della gente con la stessa affermazione di prima. Questa è l’unica spiegazione che riesco a darmi per le molte contraddizioni politiche che ci scorrono continuamente davanti agli occhi, spesso senza che noi le vediamo veramente. A poco a poco, abbiamo dimenticato le immagini di tutte quelle bare senza nome una accanto all’altra, abbiamo dimenticato i testimoni oculari che raccontano dei corpi che galleggiavano sulla superficie scura del mare, ci siamo fatti fagocitare dalla prima persona che faceva la voce grossa.

Anziché pulire la lavagna e scrivere soluzioni nuove che attutiscano e aggirino il problema, non che cerchino inutilmente di arginarlo con muri, armi o fili spinati, creando più danni che benefici, ci siamo focalizzati proprio su queste e soprattutto sugli sbarchi. Continuamente ci rinfacciano: lo scorso anno x sbarchi, quest’anno x-1000 sbarchi, urrà! Ma cosa sono gli sbarchi se non la fase finale del viaggio? Cos’è guardare solo agli sbarchi se non guardare unicamente al proprio orticello? Io, ad esempio, vorrei leggere accanto ai dati degli sbarchi i dati delle partenze, e fare una sottrazione per ottenere, plausibilmente, il numero delle vittime in mare.

Mi contesterete il fatto che in realtà le partenze hanno subito un fortissimo calo nel 2018 per via degli accordi sottoscritti dall’ex Ministro Minniti con la Libia (lasciatemi far notare che questo genere di misure di fatto non si possono definire “fisiologiche”, poiché non sono state una conseguenza, né sono state accompagnate, da una diminuzione altrettanto brusca dei movimenti migratori africani. E su questo si potrebbe aprire un altro capitolo) e direte che quindi non dovremmo preoccuparci delle vittime in mare, essendo ora le partenze assai più esigue degli anni scorsi. Sosterrete che dovremmo continuare a finanziare la Guardia Costiera Libica (che trasporta e fa sbarcare dei naufraghi sulle coste di uno stato sicuro, perfettamente sicuro, dove il 3 luglio un bombardamento aereo ha raso al suolo il centro di detenzione di migranti di Tajoura, nella periferia orientale di Tripoli, causando la morte di 53 persone, 6 delle quali erano minori) e abbandonare definitivamente anche l’illusione di progetti come Mare Nostrum. Le navi delle Organizzazioni Non Governative, poi, bisognerebbe abbatterle! O, ancora meglio, sparargli contro quando l’equipaggio è ancora a bordo.

Ma così dicendo non dimenticate forse la strage del 3 ottobre 2013? Non dimenticate forse le vite che si spengono nello spazio lungo 296 km che separa le coste di Lampedusa da Tripoli?

Dimenticare è una delle capacità involontarie più benefiche delle quali è dotato l’essere umano. Dimenticare un tradimento ci consente di dedicarci con tutti noi stessi a un nuovo rapporto, così come dimenticare una sconfitta subita durante il nostro percorso scolastico ci permette di affrontare il resto dell’anno con una leggerezza nuova e salutare. Ma ci sono cose che non vanno mai dimenticate. Stragi e tragedie che non possono essere tralasciate. Voci che non devono tacere o essere taciute.

Perché non dimenticare la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, mi domandate? Per provare, anche solo per un secondo, a lavare i nostri occhi dallo strato di sporco che li oscura e vedere dei naufraghi ancora prima che degli immigrati. Per pensare la parola salvataggio anziché raccolta. Per immedesimarsi in una persona in balia delle onde, che affoga perché non sa nuotare e perché non c’era nessuna altra barca nelle vicinanze quando la propria ha cominciato ad affondare.

Per comprendere la disumanità delle azioni estreme e impavide di cui ci si fa vanto sui social: e avere il coraggio di guardare in faccia una persona che sta per morire, in qualunque situazione, luogo o condizione sociale e politica essa si trovi, e non allungare la mano per aiutarla. In qualunque situazione, luogo o condizione sociale e politica essa si trovi. In qualunque situazione, luogo o condizione sociale e politica essa si trovi. In qualunque situazione, luogo o condizione sociale e politica essa si trovi lasciarla morire.

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